Il «Mito» nell'opera pittorica di John Sutherland scarnificazioni Stampa
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Ricerche Storiche D'Ambra - Ricerche Storiche
Scritto da Massimo Colella   
Giovedì 30 Luglio 2009 13:34

Il «Mito» nell'opera pittorica di John Sutherland scarnificazioni

Sibille ed eroi di un sovra-mondo etico
Nel “corpus”, molteplice e unitario, delle opere pittoriche di John Sutherland le lande trascolorate e sognanti del mito occupano uno spazio a sé, quasi a costituire un'idea-forza del suo (immanente) percorso artistico e un puntello fondamentale del suo (“trascendente”) “itinerarium mentis”.

Mediante una sapiente trasfigurazione semantica e cromatica, nelle tele del fondatore del neo-gestualismo il mito diviene lo spazio del Sé destrutturato e semplificato, ridotto a puro archetipo, emozione primigenia, specchio e riflesso della sostanza psichica individuale; nel mito l'essenza perde i suoi confini fattuali per divenire tale, idea pura, priva di coordinate spazio-temporali, tanto scarnificata da divenire essenziale. E perciò incisiva. E così occhi appena abbozzati emergono da una tessitura alchemica di oro e rosso opaco e intenso, come da un arcano fondo mitico-storico o da un dimenticato passato eroico: è lo sguardo – penetrante e acuto – de “La Sibilla Cumana”(acrilico su masonite cm. 70 x 77), lo sguardo parlante che pur nel silenzio grida e seppur cristallizzato muove, vibrante e dinamico, le ali del suo fascino sempiterno; seppure imprigionata e trattenuta nelle sublimi “reti” del dipinto, ancora parla e strepita invasata la sibilla e offre la sua voce ai vaticini futuri, sebbene le sue minacce e le sue promesse restino – forse – totalmente inascoltate. E se essa, sguardo furente e stilizzato, invano muove le sue labbra, non invano tesse e disfa la sua tela la sposa dell'Itacese che è ritratta dal Sutherland nell'opera “Penelope”(olio su tela; cm.100 x 70) mentre sembra sfuggire agli attacchi dei Proci in un dinamismo tanto feroce da riassumere in sé le spinte e le contro-spinte di una “tranche de vie” per così dire bloccata ed eternata proprio nel momento parossistico in cui apparirebbe quasi inutile, ma non lo è, resistere alla potenza dei pretendenti assedianti la reggia.
Nelle opere sutherlandiane il mito è, quindi, chiave di indagine, non pura fuga in un sovramondo onirico e  metastorico: si scava nel mito per scavare in se stessi e nel mondo; Penelope allora diventa simbolo, così come diventa simbolo la Sibilla: simboli rarefatti, stilizzati, scarnificati ed essenziali del nostro Universo psichico. Il mito si fa allora immagine tangibile delle forze che ci agitano, diviene la nostra storia, ma spogliata di quelle manifestazioni accidentali e transeunti che impediscono al nostro occhio mortale di guardare alle essenze che invece traslucide e perfette, nitide e cristalline solo possono essere a noi restituite, infine placate, dal “kosmos” mitico. E se si sprigiona, ricolmo di mali indicibili, il vaso di Pandora (come cromaticamente avviene in “Pandora alata”[acrilico su carta bristol;cm..100 x 70]), ciò non significa che non si possa agire, che non si possa tentare di ricostituire “L'armatura di Ettore”(acrilico su tela;cm. 70 x 100) ormai disintegrata, che non si possa partire dal mito per poi tentare un risanamento. E così quella frattura (apertura del dono malefico) che si verifica nel mito e parimenti nella realtà, può essere ricomposta grazie al ben agire. Lungi dal restare immagine di aeree e sospese sensazioni astoriche, il mito sutherlandiano si carica perciò di profonde valenze etiche. Si trasforma, cioè, nel veicolo formidabile di analisi del reale perché poi su quel reale si possa incidere con intelligenza e audacia. Perché – assieme alla Sibilla, finalmente non più trascurata, ma ascoltata – si possa prevedere quel futuro che noi stessi ci creiamo. Perché si possa rinchiudere il più possibile il vaso di Pandora e si possa continuare a lottare assieme ad Ettore, la cui armatura pur dilacerata (neri brandelli dall'accentuato dinamismo gestuale su fondo bianco) è ancora di là dall'essere pura immagine di morte, ma è anzi vincolo più profondo di benefica battaglia. Per il ristabilimento (cognitivo ed etico) del Bene. E del mezzo adatto allo scopo: la Ragione.
Sullo stesso tema si vedano anche: “Il ratto delle Sabine”(acrilico su tela;cm.70 x 100), “Il cigno di Leda”(acrilico su tela; cm.120 x 100), “L'idra di Lerna”(olio su tela; cm,70 x 100), “Icaro oggi”(acrilico su tela; cm.50 x 70), “Ulisse”(acrilico su masonite; cm.70 x 74), “L’elefante di Annibale”(acrilico su tela;cm.70 x 100), “Il cavallo di Troia”(acrilico su tela; cm.100 x 70), “Paesaggio sullo Stige”(acrilico su tela; cm.70 x 50).
(Massimo Colella, quotidiano “Il Golfo” del 30 luglio 2009,pag.29

Ultimo aggiornamento Giovedì 24 Settembre 2009 19:48